Lunedì, 04 Maggio 2020 09:54

Il Dono di sé nella prospettiva eymardiana

Non possiamo assolutamente parlare del Dono di sé in San Pietro Giuliano Eymard senza fare riferimento al Grande Ritiro di Roma, perché è qui che questo tema raggiunge il suo culmine. Perché allora l’aggettivo ‘'Grande'‘? Qual è il contesto che ha dato origine a questo ritiro o meglio il suo perché?

  1. A proposito dell’aggettivo ‘Grande’

Tre sono i motivi principali a favore di questo aggettivo qualificativo:

  • Grande: questo ritiro lo è prima di tutto e soprattutto rispetto al primo che il padre fece nel maggio 1863 in occasione dell’approvazione pontificia della Congregazione. Il motivo non è stato solo la lentezza dell’amministrazione, ma soprattutto il desiderio del nostro Santo Fondatore di meditare davanti a Dio tutte le sue responsabilità, soprattutto spirituali, derivanti dall’approvazione del suo Istituto da parte della Santa Sede.
  • Grande ancora lo è per la sua lunghezza e l’abbondanza delle note che Padre Eymard ha lasciato. Mentre il prima era durato solo una settimana, il secondo conta 65 giorni (dal 25 gennaio al 30 marzo 1865).
  • Grande, infine, per la sua importanza nella vita del santo Fondatore; ciò costituisce per lui una svolta decisiva, perché vi esprime con forza il suo desiderio di conversione, la bellezza della vocazione eucaristica e la preoccupazione di incentrare tutta la sua vita sull’Eucaristia.
  1. Il contesto che lo ha provocato

Questo ritiro si colloca in un contesto molto difficile del negoziato (trattativa) per fondare una comunità a Gerusalemme, possibilmente nel Cenacolo stesso.

Infatti, dato che padre De Cuers aveva già effettuato due viaggi a Gerusalemme nel corso del 1864 senza successo, padre Eymard si vede obbligato a recarsi a Roma per seguire da vicino la situazione e vi dispiega tutte le sue risorse per portare a buon fine il suo progetto. Prende coscienza delle notevoli difficoltà che la sua richiesta suscita; prende anche coscienza della situazione quasi senza via d’uscita in cui si trova; ma il padre non lascia la piazza, non dispera.

In questa attesa impaziente, si ritira alla villa Caserta presso i Redentoristi per andare in ritiro. Si accorge che il combattimento da condurre è più interiore. Con le sue note, ci ha lasciato la preoccupazione di centrare la sua vita sull’Eucaristia, il suo desiderio di un dono sempre più intero di sé stesso che, peraltro, troverà il suo compimento nella grazia del 21 marzo in cui, stupefatto, meravigliato, sbalordito dall’amore di Dio manifestato in Gesù Eucaristia, dà la sua risposta a questo amore facendo del dono della sua personalità con un voto. È allora che si apre una nuova via nella sua vita e nel suo apostolato: quella del Dono di Sé. Come è arrivato allora a questo? Da dove viene questa convinzione? Certamente, è dopo aver scoperto un modello per eccellenza del Dono di sé: Gesù Cristo.

  1. Il dono di sé nella prospettiva eymardiana

Noi continuiamo ad affermare con forza che Gesù Cristo è il modello per eccellenza del dono di sé. Come sperimentato lettore degli scritti paolini, Pietro Giuliano Eymard trova in questo personaggio colui che ha seguito le orme di Cristo e ha fatto l’esperienza personale dell’amore di Dio. È arrivato alla perfezione di nostro Signore Gesù con l’amore della croce. Dio l’ha atterrato, schiacciato sulla via di Damasco e gli ha chiesto grandi sacrifici. Paolo ha concesso tutto al Signore a tal punto che non smetterà mai di ripetere questa parola: “Mi ha amato e ha dato sé stesso per me (Gal. 2,20)”.

Il 21 marzo 1865 segna una grande svolta interiore nella vita del nostro Santo Fondatore. Egli scrive: «Ho fatto il voto perpetuo della mia personalità a nostro Signore Gesù Cristo nelle mani di Maria Santissima e di San Giuseppe, sotto il patronato di San Benedetto: niente per me e nessuno, e chiedendo la grazia essenziale, niente per me». Come per dire: «Tutto da lui, con lui e in lui» (cfr. NR 44,199).

Facendo questo voto, ciò che cerca d’ora in poi è un’identificazione essenziale con il Signore che vuole donarsi a lui, che chiede di trovare posto in lui, nel più profondo di se stesso. C’è qui l’aspetto di un “svuotarsi di sé stessi” per essere riempiti da un altro che è Cristo, per arrivare a dire al seguito dell’Apostolo dei Gentili: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal. 2,20).

Come intende vivere questa ardua risoluzione? Lo dice lui stesso: «Devo essere annientato ad ogni desiderio, ad ogni interesse proprio, e non avere più che quelli di Gesù Cristo che è in me per viverci per suo padre» (NR 44,199). E la venuta di Cristo nella santa comunione ha solo questo scopo: «Essere in me» per purificare tutti i miei desideri, illuminare il mio pensiero e guidare il mio agire. È una realizzazione di ciò che si trova scritto in Giovanni 6,57: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”.

Il dono di sé, dono della sua personalità, è per San Pietro Giuliano Eymard uno sforzo di abnegazione, una rinuncia non solo di ciò che si ha, ma soprattutto di ciò che si è. Si tratta di essere interamente a Gesù come lui è a suo padre. E ciò che Gesù preferisce per i suoi:

  • È un atto di umiltà personale a tutte le vane glorie.
  • Un atto di rinuncia personale a tutti gli onori, successi o atti di zelo.
  • Un atto di povertà nei confronti di tutti gli sviluppi esteriori.
  • Un atto di mortificazione a tutte le virtù.
  • Ciò che Gesù preferisce in breve è di darmi a Lui, servirlo con il dono e l’olocausto di me stesso.

Quanto a noi, Apostoli e Discepoli dell’Eucaristia, si tratta per noi di donarci al servizio, alla gloria e all’amore di nostro Signore Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento mediante la fede, il dono della nostra vita e la dedizione totale. Chiunque capisca meglio questo pensiero, dice il nostro Santo Fondatore, inizia nella pietà una via nuova, non in sé, perché chi conosce il nostro Signore Gesù sa che deve essere perfetto, deve essere assorbito in lui, non con parole, ma in pratica. Siamo dunque chiamati ad essere ombre umane per gli altri, dobbiamo diventare eucaristie viventi il cui soggetto sia il Santissimo Sacramento. Con il dono della personalità, tutta la nostra persona è trasformata in Gesù Cristo: il cuore, la mente, la volontà, il corpo, il desiderio, insomma, tutto il nostro essere. Si tratta di vivere per Cristo, di essere tutto suo, per mezzo di lui, in lui e con lui, per giungere a questa convinzione paolina: “vivo, non sono più io, è Cristo che vive in me”.

Binza, 12 marzo 2020

Padre Francis Mwanza, sss